La pronuncia del testo

Il difficile rapporto tra il suono e la parola

Non sappiamo precisamente  quando l’uomo abbia cominciato ad usare il suono della voce per produrre il canto, ma sicuramente la necessità di prolungare nel tempo la durata dei suoni è stato  il primo fattore a determinare la nascita dei suoni cantati.

Sicuramente prima del canto, come noi lo intendiamo, l’uomo  ha cominciato ad usare dei suoni. I richiami a distanza sono forse stati i primi suoni simili al canto emessi dall’uomo.

Attualmente per “Canto” si può intendere un’amplificazione della parola recitata che, arricchendosi  per mezzo di un suono, è in grado di aumentare le proprie possibilità di invasione dello spazio per meglio coinvolgere l’ascoltatore.

Nel canto, tuttavia, i due elementi necessitano di una separarazione esecutiva concettualmente realizzata nella reciproca indipendenza.

La pronuncia della parola

La pronuncia della parola è sicuramente un elemento fondamentale del canto e ne rappresenta uno dei due fondamenti.

Un ottimo esercizio propredeutico per la separazione concettuale tra il suono e la parola consiste nel declamare il testo del brano che si deve cantare “bisbigliandolo” senza alcun suono, articolando molto bene ogni sillaba con le labbra. 

Occorre però stare attenti a non usare alcun tipo di suono di “supporto” alla pronuncia del testo, cercando di realizzare la pronuncia nello spazio esterno alle arcate dentarie.

Si dovrebbe arrivare ad una pronuncia che sfrutti solo il fluire delle parole all’esterno dei denti cercando di far lavorare unicamente la muscolatura labiale.

Questo esercizio, oltre a migliorare molto la qualità della pronuncia del testo, sposta il baricentro fonatorio all’esterno, evitando di usare le parole per generare il suono.

Tuttavia nel canto la pronuncia del testo deve necessariamente servirsi di un differente meccanismo fonatorio consistente nellla gestione separata delle consonanti dalle vocali, ma tale tecnica necessita di un approfondimento specifico.

In effetti, come insegna il merlo indiano, è anche possibile pronunciare le parole pur non utilizzando i denti e le labbra, ma costruendole all’interno dello stesso suono.

Gli esseri umani che sfruttano tale tipo di emissione vengono impropriamente definiti ventriloqui.

È possibile esercitarsi a non usare la normale fonazione della parola accostando morbidamente le arcate dentarie e provando a pronunciare le parole con tale assetto. Con un po’ di pazienza si potrà raggiungere una buona nitidezza dell’eloquio, generando le parole “all’interno ” del suono.

Infatti, altro elemento fondamentale per il canto è sicuramente è il suono che funge da “onda portante” della parola.

Il Suono

In effetti suono e parola dovrebbero convivere, ma mai sovrapporsi e confondersi. La parola dovrebbe plasmare la forma del suono che, specialmente nel vocalizzo, avrebbe la necessità di viaggiare libero da condizionamenti di posizioni diverse. La vocale andrebbe pronunciata per dare un forma al suono, analogamente a quanto avviene ad un liquido versato in un recipiente,  ma non dovrebbe partecipare alla produzione del suono.

Se si ascoltano con attenzione molti grandi cantanti ci si renderà conto che il loro canto si basa sulla gestione del suono della propria voce che si “modella” conseguentemente alla sillana pronunciata. Partono da un primo suono di intonazione generato a volte con una pronuncia”accennata” arrivando poi ad una pronuncia “indipendente” alla quale segue il rinnovo del suono sganciato dalla parola detta. Il suono “modellato” dalla parola si espande poi nei risuonatori interni, in modo assolutamente indipendente dal testo.

Il suono al quale si fa riferimento non è il frutto della semplice oscillazione della frequenza fondamentale, ma è composto da TUTTE le armoniche che l’apparato di risonanza interno è in grado di produrre. Questo tipo di suono nella tradizione didattica viene definito “Timbro” o anche “Squillo”.

La voce è pertanto il risultato di questo suono “timbrato” al quale si “associa” la parola, gestendo entrambi in modo indipendente l’uno dall’altra.

Questa rappresenta l’emissione ideale della voce nel canto lirico.

Uno dei cantanti più esemplificativi che usava questo tipo di tecnica con una chiara separazione del suono dalla parola è sicuramente Boris Christoff.

Forse la natura timbrica della voce di Christoff non è da tutti valutata gradevole rispetto ad altri cantanti, ma la sua capacità di scolpire e interpretare il testo  è ineguagliabile.

http://www.youtube.com/watch?v=g-AwcZ-bedw

http://www.youtube.com/watch?v=6y0IROfgJbo

http://www.youtube.com/watch?v=opBa2JjX5X4

Anche un altro grande cantante come Pertile usava lo stesso tipo di tecnica.

http://www.youtube.com/watch?v=pzucpdpfKN4

http://www.youtube.com/watch?v=LAoFDInuytY

E anche il sommo Miguel Fleta scolpiva perfettamente il testo, oltretutto riuscendo anche a controllare in modo superlativo la dinamica del suono che successivamente permea la parola detta.

http://www.youtube.com/watch?v=RpUT1ok4uFw

Una grande cantante americana forse  non troppo conosciuta mostra in modo molto significativo questro processo fonatorio. L’incredibile Eileen Farrell separa nettamente il suo importante suono timbrato dalla pronuncia delle parole.

https://www.youtube.com/watch?v=xiObQ9QhdnU&ab_channel=rmm413f 

Ma anche la grandissima Callas, almeno fino a quando il suo strumento vocale non subì irreversibili cedimenti, ha usato questo tipo di emissione basato sulla pronuncia della parola svincolata dalla successiva produzione del suono.

ttps://www.youtube.com/watch?v=s-TwMfgaDC8&ab_channel=WarnerClassics

Anche la  mediatica sua rivale Tebaldi (un significativo esempio di rivalità creata a fini commerciali sfociata soprattutto a fine carriera in una grande amicizia) adotta la stessa strategia esecutiva.

http://www.youtube.com/watch?v=A0d6hh3DCFM

Il meccanismo è universale per tutti i registri vocali. Qui il grande basso Jerome Hines ne offre un significativo esempio.

https://www.youtube.com/watch?v=0BEYiDUB670&list=RDEMj7YRRGTWm7g91O6jMtGO0Q&start_radio=1&ab_channel=jebdunnit

Ascoltando con attenzione si potrà osservare che soltanto “dopo” la pronuncia delle sillabe si avverte l’espansione del suono che acquista il vibrato naturale completo.

Questo modo di emettere il suono determina l’assenza della compressione del fiato e come i vecchi didatti affermavano: si canta “sul” fiato e non “col” fiato.

Per ottenere tale risultato alcuni cantanti gestiscono in modo indipendente il suono e la parola, utilizzando luoghi e tempi di produzione diversi. Dopo aver generato un “accenno ” di suono direttamente nella parte alta della faringe (rinofarige, che si trova nel piano sottostante gli occhi in corrispondenza degli zigomi), pronunciano la parola dovrebbe essere pronunciata in modo nitido. Successivamente (millesimi di secondo), il suono invade lo spazio di risonanza determinato dall’amplificazione dello spazio interno alla cavità oro-faringea utilizzato quale ampio assetto per la pronuncia delle vocali.

Lo schema descritto potrebbe essere pertanto riassunto nell’acronimo “S:P:S”, ossia suono, parola, suono. Intendendo per suono quello ricco di armonici, comunemente definito “Timbro” o “Squillo”.

Solo se la muscolatura della laringe è decontratta è possibile avere una vibrazione libera con il massimo di espansione del suono nelle cavità di risonanza  interne e quindi è possibile ottenere un suono che senza sforzo invaderà lo spazio esterno.

Molti grandi cantanti del passato hanno usato questa tecnica che purtroppo  attualmente sembrerebbe essere stata sostituita da meccanismi fonatori basati sulla compressione forzata del fiato in determinate zone di risonanza.

Suono delle consonati e delle vocali

Le consonanti e le vocali hanno in effetti delle caratteristiche sonore abbastanza differenti e forse proprio da questo derivano le difficoltà per un canto sano e tecnicamente corretto.

Infatti mentre le consonanti possono essere (anzi, forse devono) essere “investite e generate nel suono, invece le vocali hanno bisogno di avere a disposizione il più ampio spazio di risonanza a disposizione. Se una vocale rimane “bloccata” nel suono non sarà facile permetterne la sua libera risonanza con conseguenti problemi di controllo del suono.

Le vocali sono simili a Schaunard che nella Boheme afferma  come esigenza imprescindibile di avere “Abbondanza di spazio”.

Occorre inoltre aggiungere che lo spazio è quello di risonanza interno, quindi è importante capire che le vocali possono essere amplificate solo sfruttando il proprio spazio interno. Spingere il suono “verso” le vocali con l’idea di propiettare il suono all’esterno porta solo a gridare e purtroppo è l’errore nel quale è più propbabile incorrere quando si vuole cantare.

Lo studio della tecnica dell’emissione vocale dovrebbe pertanto consistere nell’apprendere come gestire in modo dissimile le consonanti e le vocali.

Volendo esprimere in un aforisma quanto affermato:

“Le consonanti suonano, le vocali risuonano.”

Percorsi didattici

Da quanto finore esposto si conferma che la pronuncia delle parole nel canto non può essere la stessa usata nel normale eloquio, dovendo soddisfare l’esigenza di realizzare il difficile connubio con il suono.

Per quanto riguarda il controllo dell’emissione delle vocali, nella pratica didattica si può suggerire al cantante di allungare il tempo di esecuzione del suono timbrato “indugiando” sulla sua durata e quasi alla fine della nota si pronuncerà la vocale, lasciando che lo spazio di risonanza ne accolga la sua espansione.

Se la vocale viene pronunciata lentamente molto probabilmente si “invischierà” nel suono, offuscandolo, ed è possibile che venga “catturata” dalla gola rimanendo priva di armonici.

I dittonghi e le sinalefe  hanno bisogno di estrema attenzione per evitare che perdano l’altezza del suono.

(Si verifica una sinalefe quando due sillabe di due parole terminanti e inizianti per vocale si uniscono per motivi metrici in un unico fonema.)

Le consonanti per loro natura possono risuonare solo se virtualmente pronunciate in alto. Invece le vocali, specialmente nella lingua italiana, avrebbero bisogno di essere pronunciate permettendone la risonanza libera all’interno di TUTTE le zone faringee (Rino faringe, Oro faringe e Laringo faringe). Purtroppo, specialmente se la vocale è pronunciata sul “Battere” della nota senza un precedente “Levare” del suono puro, è molto probabile che il suo attacco si realizzi in gola, rimanendovi bloccata.

Per evitare che il processo si blocchi all’interno  dell’apparato di risonanza interno o,  peggio ancora nella gola, potrebbe essere utile (specialmente all’inizio del percorso di acquisizione della tecnica vocale) provare a pronunciare le consonanti rapidamente, mentre le vocali dovrebbero idealmente essere pronunciate alla fine della nota, non all’inizio.

La semplice pronuncia rapida delle consonanti potrebbe anche da sola rendere il suono squillante. La sua rapidità d’esecuzione influisce inoltre anche sulla presenza interpretativa e psicologica del cantante.

Se l’impulso esecutivo è lento non si può sfruttare il meccanismo d’innervazione dell’apparato vocale che secondo la teoria dell’emissione del suono Neurocronassica deriverebbe proprio da impulsi generati direttamente dal cervello e non dalla pressione del fiato sulle corde vocali. La teoria citata ha avuto alcune contestazioni tecniche, ma a livello didattico risulta molto utile.

Il suono può avere il suo completo sviluppo sfruttando anche l’alveo di risonanza costituito dall’assetto dell’apparato fonatorio utilizzato per pronunciare le vocali, ma il suo inizio dovrebbe essere sempre nel punto immaginario individuato precedentemente.

La base di tale assetto non dovrebbe mai essere modificata per ogni semifrase del brano, riassegnando al suono di ciascuna vocale lo stesso spazio di risonanza per la sua espansione.

Le consonanti potrebbero in alcuni casi discriminare la qualità del suono se non vengono pronunciate in modo opportuno. Possono fornire un grande aiuto  oppure rappresentare un ostacolo alla corretta emissione, determinando l’interruzione del flusso sonoro. Il significato etimologico del termine “consonanti” si riferisce alla loro gestione nella lingua parlata latina, la quale assegnava il suono principale alle vocali. Le consonanti ne sfruttavano il suono “consuonando”. Nel canto invece le consonanti possono (anzi, DEVONO) essere generate nel suono lasciando “libera” la vocale che le segue.

Il suono dovrebbe pertanto essere generato indipendentemente dalla parola e non ottenuto per mezzo di essa. Solo  aiutando il cantante a realizzare la completa indipendenza del suono dalla parola si è potuto didatticamente verificare  l’acquisizione del completo controllo della giusta intonazione e la duttilità dinamica nei confronti del volume sonoro utile ad una canto veramente espressivo.

Ogni nota emessa, se svincolata dalla parola, può sfruttare gli stessi armonici e il cantante dovrebbe avere la sensazione di emettere sempre lo stesso suono,  indipendentemente  dall’altezza delle note costituenti la melodia cantata.

“Lo stesso suono a varie altezze.”

Senza una tecnica opportuna si rischia di trasformare il canto in un grido che potrebbe comunque risultare gradevole se emesso da un cantante naturalmente dotato di un timbro bello e armonioso, ma in ogni caso sarà soggetto a inutili sforzi esecutivi.

I grandi cantanti, anche per caratteristiche psicologiche personali,  hanno spesso adottato (forse incosapevolmente) protocolli esecutivi molto simili a quelli precedentemente descritti, raggiungendo un alto grado di espressività ed un suono estremamente vivo e dinamico.

Purtroppo si ascoltano molte bellissime voci “intrappolate” nel loro stesso suono,  col risultato di ottenere suoni forzati che col tempo diventano oscillanti e con intonazione incerta.

L’obiettivo di chi si accosta al canto dovrebbe essere una prestazione libera da tensioni muscolari infruttuose, realizzando una qualità espressiva completa e permettendo al canto di realizzare l’enfatizzazione della recitazione.

Effettivamente, non bisognerebbe mai dimenticare che il canto deriva dal cosiddetto “recitar cantando”, ma è il suono timbrato l’elemento che caratterizza la qualità di una voce.

Il legato d’emissione

Il legato d’emissione rappresenta il più importante obiettivo tecnico al quale un cantante dobrebbe aspirare. Purtroppo l’obiettivo è molto insidioso perchè ha alla base un grande equivoco. Infatti molti cantanti credono che tale legato si ottenga attraverso la pronuncia delle parole con le sillabe “incollate” l’una all’altra. In effetti scegliando di separare le vocali dalle consonanti per lasciarle libere di risuonare sembrerebbe che tale obiettivo possa essere in aperto contrasto con il legato d’emissione. L’equivoco sorge perché non si considera che quello che deve essere legato è il suono, non le singole sillabe.

Poichè le consonanti si sviluppano nel suono, sono proprio queste a dover essere immaginate “incollate” una all’altra mentre le vocali sottostanno in libera espansione a tale raggio sonoro.

La personale testimonianza didattica garantisce che quando il cantante riesce a pronunciare le consonanti esattamente sul battere della nota (o un suono puro nel caso di sillaba con vocale iniziale) pensando di legare tra loro tutte le consonanti, i risultati che si ottengono sono assolutamente strabilianti.

I suggerimenti forniti sono propedeutici all’acquisizione di un controllo dell’emissione che dovrà tradursi in alcuni rapidi e semplici protocolli esecutivi durante il canto.

Ogni cantante ha un personale ciclo evolutivo che dovrebbe portarlo a gestire durante il canto pochi e semplici protocolli strettamente personali, ma dovrebbe essere comune a tutti l’obiettivo dell’indipendenza gestionale tra la parola e il suono.

Si può tranquillamente non seguire tale obiettivo, ma è molto probabile che, anche ottenendo dei validi risultati,  si dovrà ricorrere a notevoli sforzi per realizzare la propria prestazione artistica.

Adottando invece opportuni accorgimenti tecnici dovrebbe essere possibile eliminare completamente ogni inutile sforzo, avendo quindi la possibilità di liberare tutto il personale talento espressivo.